Lettera alle mie alunne e ai miei alunni

Pubblicato: giugno 9, 2011 da Loretta Ugulini in Cultura giovanile, Fatti e personaggi, Generali

Ci affanniamo presi da mille compiti e incombenze  e spesso ci sfugge il senso di ciò che facciamo tanto che può accadere a tutti  di perdere  di vista gli scopi essenziali dell’agire e del pensare. In queste giornate frenetiche, quindi è tanto più urgente riservare un tempo per riflettere e dare un senso alle nostre azioni. Mi sono fatta aiutare da Jean Giono per parlare a voi  con la storia dell’Uomo che piantava gli alberi. Ho chiesto in prestito le parole a Jean Giono perché in esse ho trovato racchiusa nella forma più pura e potente, il  messaggio che voglio regalare a voi alunni. Quando ho scoperto la storia di Elzéard Bouffier ho capito di aver ricevuto un grande regalo e sono stata grata all’uomo che l’ha pensata perché  un po’ mi ha  cambiata, come sono grata a tanti libri e a tante persone vicine e lontane che ho conosciuto. Credo che le persone  e le loro storie che ci investono o ci sfiorano siano sempre un’occasione di arricchimento, anche quelle negative,  a patto che non restiamo indifferenti. Le persone sono regali solo per il fatto che esistono.

Sono grata a voi di avermi donato il vostro tempo e la vostra attenzione;  vi ringrazio di avermi accettata e  accolta. Siete tutti per me molto preziosi, anche solo perché senza di voi la mia identità di docente non avrebbe senso.  Ognuno, nella vostra unicità e diversità, dà senso al mio ruolo di docente e completa la mia persona. Grazie di cuore

Vi abbraccio tutti  e vi auguro che il vostro “sacco di ghiande”, come quello di Elzéard Bouffier, sia sempre stracolmo  per seminare  incessantemente ciò che può dare felicità a voi e agli altri….sempre.  Elzéard Bouffier trovò un senso ben preciso alla propria vita e lo perseguì con caparbietà e tenacia, così dovete fare voi. Vi auguro che ognuno trovi il proprio senso e se si dovesse smarrire ricordate con assoluta certezza che lo ritroverete  perché la vita ha sempre un  senso.

La vita è una straordinaria avventura……vivetela tutta fino in fondo…”succhiate il midollo della vita” (vedi “L’attimo fuggente”) Visto che ci sono,  rubo altre parole al film “L’attimo fuggente:

Ragazzi e ragazze ,” vivete  la vostra vita intensamente prima che tutto finisca… perchè dopo saremo cibo per i vermi e concime per i fiori…  Molti uomini hanno vita di quieta disperazione: non vi rassegnate a questo, ribellatevi, non affogatevi nella pigrizia mentale, guardatevi intorno. Osate cambiare, cercate nuove strade”.

Classe 3A e 3C al gioco quiz sul Risorgimento

Con affetto 

 Prof. LorettaUgulini

Andrea Granato ha  intervistando Manuel Veluthedathuparambil, un alunno di seconda media che è di origine indiana, infatti  suoi genitori sononati a   Kerala, una  regione a sud dell’India. Manuel è però nato a Roma.

– Sei andato in India qualche volta? Con chi?-

“Sì, molte volte. Un po’ di volte con i miei genitori e una volta sono andato da solo e con mio fratello”.

Ma dove atterri con l’aereo giù in India?

“Atterro al sud dell’India, cioè nella punta, a “Kerala” più precisamente a “Cochin””

Noi abbiamo l’idea che l’India sia un paese povero, tu che cosa ne sai di questo aspetto della tua terra?
“E’ povera, ma solo in certi parti del nord dell’India”

“Sei mai  andato a scuola giù in India”?

“Sì, una voltafrequentai l’asilo durante l’estate per imparare meglio l’indiano.”

È stato emozionante?

Sì, provai  una nuova esperienza, ma non mi è piaciuto il metodo di rimprovero delle maestre indiane perché usavano una bacchettina sulle mani per chi non seguiva le regole; qui in Italia non sarebbe immaginabile.

-Qual è la religione più diffusa dell’India?

Io sono cattolico, ma la religione più diffusa è l’induismo che è più praticato nel nord, ma ci sono molte religioni.

– Hai visitato tutta l’India?

“No, non sono riuscito a visitarla tutta però questo anno cerco di visitarla almeno metà”

Un tuo ricordo dell’India che porti sempre dentro, lo puoi rivelare a noi?

“Sì, va bene, ora ci penso…..Ah, sì, ho trovato!!!! Gli abiti indiani mi affascinano e mi ricordano il mio paese, così come il cibo che mia madre prepara.

Quando apro l’armadio di mia madre, non trovo  solo gone pantaloni e  magliette, ma anche  il Sary, un elegante abito indiano fatto di stoffa colorata .

Mia madre e mio padre prendono i vestiti indiani quando c’è una cerimonia, dove tutti sono indiani. Ad  esempio  domenica scorsa c’era una prima comunione di un mio parente, tutti quelli che erano venuti alla festa erano abbigliati all’indiana, infatti le donne avevano messo il Sary. Il sary è un vestito femminile molto colorato e comodo che si avvolge intorno al corpo.  Sono proprio i colori che mantengono in me il ricordo della mia India.

Andrea Granato e Manuel Veluthedathuparambil

DINA

Pubblicato: giugno 8, 2011 da teoalbo in Diritti dei lettori
Tag:,

Dirección Nacional de Inteligencia o DINA fu la polizia segreta cilena nel primo periodo della dittatura di Augusto Pinochet.

La DINA sequestrò torturò e rapì i dissidenti politici come metodo repressivo.

Parecchi dei detenuti sono semplicemente scomparsi, uno dei più grossi centri di tortura e di detenzione fu Villa Grimaldi.

Muro alla memoria a Villa Grimaldi Santiago del Cile

Emilio Vassallo era proprietario della villa dagli anni cinquanta e aveva trasformato la casa in un ristorante, in un ritrovo per politici, intellettuali e artisti.

La villa assomigliava molto a una villa italiana, per questo la chiamarono villa Grimaldi, con molte piante, statue in marmo, fontane e mosaici sui muri.

Ogni volta che aumentavano i detenuti venivano costruite nuove strutture per la tortura. Il suo isolamento privilegiò la scomparsa dei prigionieri.

Da Tobalaba, aeroporto vicino, partivano gli elicotteri pieni di corpi dei desaparecidos che successivamente venivano buttati in mare.

Di Albonico Matteo

Vogliamo commentare insieme a voi il fatto accaduto il  29-05-11, durante la finale di coppa Italia tra Inter e Palermo allo stadio Olimpico di Roma:   degli attivisti della Greenpeace  hanno calato uno striscione con scritto:”Da Milano a Palermo, fermiamo il nucleare”.  Sono stati denunciati

La Greenpeace è una associazione ambientalista pacifista fondata a Vancouver nel 1991. È famosa per la sua azione diretta e non violenta per la difesa del clima, delle balene, dell’interruzione dei test nucleari e dell’ambiente in generale.

Gli attivisti della Greenpeace erano 7: quattro cittadini svizzeri, un tedesco e due italiani d’età compresa tra i 23 e i 44 anni, tutti denunciati e sottoposti a Daspo ( Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive).  Per l’italiano non residente a Roma il questore ha adottato anche il foglio di via obbligatorio con divieto di ritorno nel Comune per 3 anni.

Noi quest’anno abbiamo assistito a delle lezioni sulle centrali nucleari insieme al prof. Castronovo con cui abbiamo studiato come sono fatte, a che cosa servono e come funzionano.

Secondo noi, le centrali nucleari sono pericolose e perciò vanno sostituite con l’uso di  energia alternativa ad esempio le centrali che utilizzano fonti rinnovabili come la luce del sole oppure i gas naturali.

Il gesto di Grenpeace non ci sembra da condannare così duramente.

Dobbiamo parlare del problema e i giovani devono interessarsi a questioni così fondamentali per il futuro di tutti. Lo stadio è una buona cassa di risonana per farsi sentire da   tutti, infatti molti nostri compagni erano perfettamnete al corrente dell’evento e ne abbiamo discusso.

By Andrea e Simone

Il terzo gruppo del giornalino

Pubblicato: Maggio 31, 2011 da Loretta Ugulini in Cultura giovanile, Generali, Info dai banchi

Le attività di laboratorio sul giornalino stanno per finire e il terzo gruppo saluta e ringrazia i lettori per l’attenzione dimostrata.

Speriamo di aver incuriosito e fatto pensare, speriamo che anche durante l’estate e per il prossimo anno si possa continuare a scambiare opinioni.

 

Terzo gruppo di giornalisti del Garibaldino

Dopo aver letto la storia di Jorge , protagonista del testo “Il vento di Santiago” ci viene spontanea una domanda: “Quante persone come Jeorge, che oggi sarebbero ragazzi e ragazze cileni trentenni, esistono? Quanti sono disposti a ricordare? Quanti sono disposti a recuperare la loro storia?”

Continuando con la forza dell’immaginazione il romanzo, quale destino potremmo prospettare per quel Jeorge  che fu a malincuore allontanato da Santiago con il libro della madre Estela tra le mani come pegno d’amore per la ricerca della verità ?

Chissà cosa direbbe la scrittrice Zannoner………

 

Rito lo è perché da anni ormai per i quattordicenni italiani e le loro famiglie l’esame contraddistingue la gestione del tempo e delle emozioni, in particolare tra maggio e giugno.

E’ un rito di passaggio perché dopo l’esame si cambia scuola e la scuola scelta determina un percorso di vita che deve essere stabilito con grande consapevolezza e accuratezza.

E’ un rito di passaggio anche perché bisogna dimostrare di saper affrontare una commissione di adulti esperti che devono valutare conoscenze, competenze e maturazione personale. Insomma sostenere l’esame di terza media non è proprio una passeggiata in un parco divertimenti, come non lo è la vita.

Come fa il nostro ragazzo/a  italiano/a a catturare il suo “leone”?

Come ci si sente nella sua foresta del sapere?

Mi piacerebbe che i ragazzi di terza media potessero esternare i loro pensieri, le loro sicurezze, le loro ansie o anche solo qualche informazione su come si stanno avvicinando all’esame perché discuterne insieme aiuta a rendersi meglio conto, a sentirsi meno soli, a comprendere e comprendersi meglio.

Non vi incuriosisce sapere se in qualche altra scuola d’Italia i ragazzi provano le stesse emozioni e come si stanno preparando?

Ma quali sono davvero queste emozioni?

So che tra i nostri assidui lettori c’è una scolaresca di Apecchio (PU) che deve affrontare l’esame e ci incuriosisce sapere come va dalle vostre parti, se avete dei consigli…..

Come un ponte serve per attraversa il fiume così il  ponte dei nostri pensieri  può servire per attraversare meglio la preparazione all’esame

                                                                                            Ponte medioevale ad  Apecchio

Alle trincee con la guida

Il giorno 17 maggio, le classi terze  della scuola secondaria   Marie Curie,  si sono  recati al Parco regionale Spina Verde, a Cavallasca , per visitare le trincee della “linea Cadorna”. In questa gita, oltre ai nostri professori, siamo stati accompagnati da esperti del luogo,  fra cui: due guide, due geologi e due guardie forestali della G.E.V.

Le trincee della linea Cadorna sono un sistema difensivo adottato dal generale Luigi Cadorna, per difendere il territorio da un possibile attacco nemico, sul confine svizzero, che non avvenne mai.

I lavori iniziarono nel 1915 e terminarono nel 1917, furono impiegati circa 20 mila operai , che realizzarono

un percorso  esteso da Verbania fino alla provincia di Bergamo. Nella sua totalità la linea conta circa 80 km di lunghezza. L’armamento difensivo contava  88 postazioni d’artiglieria, 11 forti in caverna  costellati da centinaia di obici, cannoni e mortai.

Impressionante lo spazio in cui decine di soldati dovevano dormire, combattere, muoversi, cucinare, mangiare… sopravvivere. La necessità di salvarsi la vita era sempre presente nella mente dei soldati , che tornando a casa traumatizzati, spesso rimanevano ossessionati dalla guerra , impazzendo e a volte addirittura suicidandosi. In trincea o imparavi in fretta o morivi.

Molto toccante è il testo di Remarque  tratto dal libro ”Niente di nuovo sul fronte occidentale”, che riesce a descrivere in modo completo e commovente  le atrocità della guerra, citando anche i soldati giovani, appena arrivati, appunto inesperti,  definendoli mosche che cadevano sotto i colpi nemici. Consigliamo la lettura.

Un altro autore importante che ci ha aiutato a capire cosa provassero i poveri soldati al fronte  è Giuseppe Ungaretti, reduce come Remarque dalla guerra di trincea, che nelle sue poesie definisce l’angoscia provata , il dolore, ma anche l’amore e la voglia di vivere che nascono  a contatto con la morte.

Non potersi muovere  o divertirsi, avere sempre addosso la paura di essere bersagliato in ogni momento

doveva essere davvero terribile.

Simone Barbagallo

Andrea Longhi